
CSRD Omnibus: cos’è, novità e impatti per le aziende
(Aggiornamento 2025)
CSRD Omnibus: cos’è, novità e impatti per le aziende (Aggiornamento 2025)
Indice dei contenuti:
Cos’è la CSRD Omnibus
Come funziona la direttiva e cosa cambia rispetto alla CSRD originale
Chi è coinvolto
Tempistiche e fasi di implementazione
Novità introdotte dalla CSRD Omnibus
Implicazioni per le aziende
Come Metrikflow può supportarti
Cos’è la CSRD Omnibus
La CSRD Omnibus è un pacchetto di proposte normative introdotto dalla Commissione Europea nel 2025 per modificare e semplificare la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD). In altre parole, si tratta di un intervento “omnibus” (ovvero onnicomprensivo) che aggiorna le regole sulla rendicontazione di sostenibilità aziendale. L’obiettivo principale è ridurre la complessità e gli oneri amministrativi associati alla CSRD originale, rispondendo alle preoccupazioni di molte imprese sull’eccessiva burocrazia. Questo pacchetto fa parte di un’iniziativa più ampia della UE per migliorare la competitività e alleggerire gli obblighi, in particolare per le piccole e medie imprese (PMI). La CSRD Omnibus introduce modifiche significative alla direttiva originale, focalizzandosi sulle aziende di maggiori dimensioni e semplificando alcuni requisiti, pur mantenendo invariati i principi cardine di trasparenza in ambito ESG (ambientale, sociale e di governance). Secondo le stime della Commissione, queste semplificazioni potrebbero comportare risparmi annuali di oltre 6 miliardi di euro di costi amministrativi per le imprese europee.
Come funziona la direttiva e cosa cambia rispetto alla CSRD originale
La CSRD originale (Corporate Sustainability Reporting Directive), adottata nel 2022, ha ampliato in modo significativo l’obbligo di rendicontazione di sostenibilità per le aziende europee. In sintesi, la CSRD richiede alle imprese interessate di pubblicare, all’interno della relazione annuale, informazioni dettagliate sul proprio impatto ambientale e sociale, nonché sui rischi di sostenibilità che possono influenzare il business. Questa rendicontazione deve seguire standard europei uniformi (gli ESRS, European Sustainability Reporting Standards) e adottare il principio della doppia materialità, valutando sia come i fattori ESG influenzano l’azienda, sia l’impatto dell’azienda su ambiente e società. Inoltre, la CSRD prevede che i dati di sostenibilità riportati siano sottoposti a una verifica esterna (assurance) da parte di revisori: inizialmente è richiesta un’assurance limitata e, nella versione originale, era previsto in futuro un passaggio a un’assurance ragionevole (più rigorosa).
Rispetto a questa impostazione, la CSRD Omnibus introduce diversi cambiamenti chiave. In primo luogo, riduce drasticamente il perimetro delle imprese soggette alla direttiva: invece di coinvolgere tutte le grandi aziende (oltre 250 dipendenti) e le PMI quotate, la nuova soglia proposta è fissata a 1.000 dipendenti. Ciò significa che circa l’80% delle aziende inizialmente incluse negli obblighi CSRD ne verrebbe escluso, concentrando la rendicontazione obbligatoria solo sulle società di maggior dimensione. In secondo luogo, pur confermando l’obbligo di assicurazione limitata sui dati di sostenibilità, l’Omnibus elimina la prospettiva di passare a un’assurance “ragionevole” negli anni successivi. Vengono anche abbandonati i piani per sviluppare standard di rendicontazione settoriali: la CSRD originale prevedeva standard aggiuntivi specifici per settore economico e per PMI quotate, ma l’Omnibus cancella questa previsione, evitando di introdurre ulteriori layer di complessità. Allo stesso tempo, la Commissione ha annunciato l’intenzione di semplificare gli standard ESRS esistenti, riducendo il numero di indicatori obbligatori e privilegiando dati quantitativi (misurabili) rispetto a descrizioni narrative. Importante sottolineare che non cambiano i principi fondamentali: la doppia materialità rimane intatta, così come l’impianto generale della direttiva, confermando l’impegno UE verso una trasparenza ESG robusta. In sintesi, la CSRD Omnibus mantiene gli obiettivi di fondo della normativa originale, ma ne rimodula la portata e le tempistiche per renderla più sostenibile (paradossalmente) per le aziende.
Chi è coinvolto
Le modifiche introdotte con la CSRD Omnibus ridefiniscono quali aziende saranno effettivamente obbligate alla rendicontazione di sostenibilità secondo la direttiva. In base alla proposta attuale, risultano coinvolti principalmente:
Grandi imprese con oltre 1.000 dipendenti: la nuova soglia dimensionale individua queste aziende come il fulcro dell’obbligo di reporting. Si tratta in pratica delle società di maggiori dimensioni (in genere con oltre 1.000 dipendenti e fatturato superiore a 50 milioni di euro), incluse sia le imprese quotate in borsa che quelle non quotate che superano tale livello occupazionale. In termini numerici, il passaggio da 250 a 1.000 dipendenti come criterio minimo riduce i soggetti obbligati da circa 50.000 aziende a circa 10.000 in tutta Europa, focalizzandosi su quelle realtà che hanno maggiori impatti sull’ambiente e sulla società.
PMI quotate sotto i 1.000 dipendenti: queste imprese, che nella CSRD originale avrebbero dovuto iniziare a rendicontare (seppur con standard semplificati), saranno esentate. Ciò include molte piccole e medie imprese quotate in borsa (escluse comunque le micro-imprese, che erano già fuori campo). L’Omnibus quindi esclude le PMI quotate dal campo di applicazione della CSRD se hanno meno di 1.000 dipendenti. Rimane tuttavia per loro la facoltà di aderire volontariamente alle linee guida di reporting ESG, ad esempio per rispondere alle richieste di investitori o per prepararsi a future evoluzioni normative.
Enti di interesse pubblico già soggetti a NFRD: le grandi aziende già obbligate sotto la precedente direttiva Non-Financial Reporting Directive (tipicamente società quotate, banche, assicurazioni con oltre 500 dipendenti) restano coinvolte. Anzi, queste imprese hanno già iniziato ad applicare la CSRD dal 2024 (per i dati dell’esercizio 2024). La CSRD Omnibus non modifica il loro obbligo, poiché si tratta in generale di aziende sopra il nuovo limite di 1.000 dipendenti o comunque già tenute per legge precedente.
Società non europee con attività rilevante nell’UE: la direttiva CSRD si applica anche ai cosiddetti “third-country undertakings”, ossia gruppi con sede fuori dall’UE ma con operazioni significative nell’Unione (ad es. tramite filiali o controllate). In origine, l’obbligo scattava per gruppi non-UE con fatturato netto di almeno 150 milioni di euro nell’UE (nei due anni consecutivi) e con una presenza operativa significativa (una grande controllata o una filiale con fatturato > 40 mln €). La CSRD Omnibus innalza questa soglia: sarà richiesto un fatturato consolidato nell’UE di oltre 450 milioni di euro affinché tali gruppi rientrino nell’obbligo. Inoltre, si prospetta di elevare a 50 milioni € la soglia di fatturato per considerare rilevante una filiale non-UE (ramo d’azienda). Queste modifiche riducono il numero di multinazionali extra-UE tenute a redigere un rapporto di sostenibilità secondo le regole CSRD, concentrandolo solo su quelle con una presenza economica molto ampia nel mercato europeo.
Altri stakeholder aziendali: oltre alle imprese in senso stretto, la CSRD Omnibus coinvolge indirettamente figure come i sustainability manager, i team ESG, i CEO e i responsabili compliance delle aziende interessate, che dovranno adattarsi alle nuove regole. Anche i revisori legali e le società di audit sono parte in causa, in quanto continueranno a dover fornire assurance (revisione limitata) sui dati di sostenibilità delle aziende soggette. Infine, investitori, analisti e altri attori del mercato saranno interessati dai cambiamenti, poiché il tipo di informazioni ESG disponibili e il numero di società che le pubblicano potranno mutare in base a queste novità regolamentari.
Tempistiche e fasi di implementazione
La CSRD originale prevedeva un’introduzione graduale degli obblighi di rendicontazione, scaglionando le aziende in quattro “ondate” successive. Queste fasi iniziali erano le seguenti:
Prima ondata (reporting 2025 sui dati 2024) – Grandi imprese di interesse pubblico già soggette a NFRD, cioè società quotate, banche, assicurazioni con oltre 500 dipendenti. Per queste aziende la CSRD è già in vigore dal 1° gennaio 2024 e il primo bilancio di sostenibilità va pubblicato nel 2025 (riferito all’esercizio 2024). Questa tempistica rimane invariata con la Omnibus.
Seconda ondata (originariamente reporting 2026 sui dati 2025) – Altre grandi imprese non soggette a NFRD, ossia tutte le aziende sopra i criteri di grande impresa (oltre 250 dipendenti o 40 milioni di fatturato o 20 milioni di totale attivo) non incluse nella prima ondata. In base alla CSRD originale, queste imprese avrebbero dovuto iniziare a rendicontare dal 2025. La CSRD Omnibus posticipa di due anni questo obbligo: il primo report di sostenibilità per queste aziende slitta al 2028 (relativo all’anno finanziario 2027). In pratica, le grandi imprese “non PIE” avranno due anni aggiuntivi per adeguarsi.
Terza ondata (originariamente reporting 2027 sui dati 2026) – PMI quotate e altre categorie specifiche (come alcune banche piccole non complesse e imprese di assicurazione captive). La direttiva originale prevedeva per le PMI quotate la facoltà di rinviare al 2028 il primo report, ma dal 2026 sarebbero comunque rientrate in perimetro. Anche qui, l’Omnibus concede due anni in più: le PMI quotate e le altre entità di terza ondata dovranno eventualmente reportizzare a partire dal 2029 sui dati del 2028. Va ribadito che, con la contestuale esclusione delle società sotto i 1.000 dipendenti, molte PMI quotate non rientreranno affatto più nell’obbligo (saranno fuori per criterio dimensionale).
Quarta ondata (reporting 2029 sui dati 2028) – Società di paesi terzi con ricavi significativi in UE. Questo obbligo (destinato ai gruppi non-UE con forte presenza in Europa, come descritto in “Chi è coinvolto”) rimane al momento invariato: il primo report per questi soggetti è atteso nel 2029 sui dati 2028, salvo esenzione se non raggiungono le nuove soglie di fatturato. L’Omnibus non modifica le tempistiche per le imprese di paesi terzi già previste dalla CSRD originale.
Le nuove tempistiche introdotte dalla CSRD Omnibus sono già state formalizzate a livello UE con un provvedimento noto come “Stop-the-Clock” Directive. Ad aprile 2025 infatti le istituzioni europee hanno approvato una direttiva urgente che congela e rinvia di due anni le scadenze della seconda e terza ondata, in attesa che le modifiche sostanziali vengano definitivamente adottate. Questa mossa garantisce certezza alle aziende su quando dovranno iniziare a rendicontare: nessuna nuova azienda (oltre a quelle della prima ondata) dovrà pubblicare la propria relazione di sostenibilità prima del 2026, e per la maggior parte si parlerà del 2028 o oltre. I Paesi membri dovranno recepire queste nuove scadenze entro fine 2025, così che le imprese possano pianificare conformemente. È importante sottolineare che le aziende della prima ondata devono invece già rispettare la scadenza originaria (report 2025 relativo al 2024): per questi grandi operatori non c’è stato alcun rinvio e molti stanno pubblicando i loro primi bilanci di sostenibilità in linea con la CSRD proprio nel 2025.
Novità introdotte dalla CSRD Omnibus
La CSRD Omnibus porta con sé un insieme di novità normative che modificano aspetti chiave della direttiva di rendicontazione di sostenibilità. Di seguito, riassumiamo le principali innovazioni e semplificazioni introdotte:
Riduzione dell’ambito di applicazione – Come accennato, il campo di applicazione della CSRD viene drasticamente ristretto. Saranno obbligate solo le aziende con oltre 1.000 dipendenti, escluse quindi circa l’80% delle imprese che sarebbero state inizialmente coinvolte. In particolare, vengono escluse le PMI quotate sotto tale soglia e le grandi aziende fino a 1.000 dipendenti. L’idea di fondo è di concentrare gli obblighi di sostenibilità sulle imprese più grandi, che tipicamente hanno un impatto ambientale e sociale maggiore e maggiori risorse per gestire la rendicontazione.
Posticipo delle scadenze di rendicontazione – L’Omnibus sposta in avanti di due anni le date di prima applicazione per le imprese della seconda e terza ondata. Di conseguenza, le grandi aziende non precedentemente obbligate dal NFRD inizieranno a rendicontare dal 2028 (anziché 2026) e le PMI quotate dal 2029 (anziché 2027). Questa misura, già resa effettiva dal citato provvedimento “Stop-the-Clock”, concede più tempo alle aziende per prepararsi e allinearsi ai nuovi requisiti. Le scadenze per le imprese della prima ondata (2025) e per i gruppi non-UE (2029) restano invariate.
Diritto di rifiuto per le piccole imprese nella filiera – Una novità importante per evitare effetti indiretti sugli operatori più piccoli: la CSRD Omnibus prevede che le PMI possano rifiutare di fornire alcuni dati richiesti da un’azienda più grande nella propria catena del valore. In pratica, se una grande impresa soggetta a CSRD chiede informazioni ESG a fornitori o partner di dimensioni minori per completare il suo bilancio di sostenibilità, questi potranno opporre un rifiuto legittimo senza subire conseguenze dall’adempimento. Questa misura tutela le PMI da oneri aggiuntivi “a cascata” e garantisce che le richieste di dati ESG verso terzi non diventino un peso improprio per chi non è giuridicamente tenuto alla CSRD.
Conferma della doppia materialità – Nonostante alcune pressioni per allentare i requisiti, la Commissione ha deciso di mantenere integra la logica della doppia materialità. Le imprese dovranno quindi continuare a valutare e rendicontare sia l’impatto delle questioni di sostenibilità sulle proprie performance finanziarie, sia l’impatto delle loro attività sulla società e sull’ambiente. Questo principio rimane il fulcro della rendicontazione CSRD, assicurando che i report ESG forniscano una visione completa e bilanciata.
Mantenimento dell’assurance limitata (nessuna escalation a ragionevole) – La CSRD Omnibus conferma l’obbligo di verifica limitata delle informazioni non finanziarie da parte di un auditor esterno, ma elimina la prospettiva prevista in futuro di passare a una “reasonable assurance” più stringente. Ciò significa che anche negli anni a venire il controllo sui dati ESG resterà a un livello di approfondimento moderato (limitato) e non al livello di revisione completo richiesto per il bilancio finanziario. Questa scelta intende evitare un ulteriore aggravio di costi e complessità per aziende e revisori, senza però rinunciare a un minimo di verifica sull’attendibilità delle informazioni di sostenibilità riportate.
Niente standard settoriali e stop agli standard ad hoc per PMI – Un’altra novità rilevante è la rinuncia a sviluppare standard di rendicontazione specifici per settore (che la CSRD originale aveva in programma di introdurre) e per le PMI quotate. La Commissione ha dichiarato esplicitamente che non emanerà standard settoriali ESG aggiuntivi. Questo significa che tutte le aziende obbligate continueranno a utilizzare un set unico di standard (ESRS) trasversali, anziché dover seguire anche linee guida particolari per il proprio settore industriale. L’eliminazione degli standard settoriali evita di aumentare la mole di dati da raccogliere e reportizzare, semplificando l’implementazione per le imprese multi-settore e rendendo più snella la normativa per tutti.
Revisione e semplificazione degli ESRS esistenti – Parallelamente, è stato avviato un processo di revisione degli standard europei ESRS, con l’intento di semplificare e ridurre i requisiti informativi. Le autorità europee (in collaborazione con EFRAG, l’organismo che elabora gli standard) lavoreranno nel 2025 per tagliare gli indicatori meno significativi e focalizzarsi su dati quantitativi maggiormente comparabili. Ad esempio, potrebbero essere ridotti gli obblighi descrittivi o narrativi, privilegiando metriche numeriche chiave (come emissioni di CO₂, consumi energetici, indicatori di diversity, ecc.). L’obiettivo dichiarato è snellire i report di sostenibilità rendendoli più accessibili e utili, sia per chi li prepara sia per chi li legge. Le versioni semplificate degli ESRS dovrebbero essere pronte in tempo per essere applicate ai bilanci di sostenibilità del 2027, e possibilmente – su base volontaria – già ai report del 2026.
Modifiche alla Tassonomia UE – La CSRD Omnibus include anche cambiamenti collegati al Regolamento Tassonomia, ovvero le norme che richiedono alle aziende di dichiarare la quota di attività eco-sostenibili secondo la classificazione UE. In parallelo alla riduzione del perimetro CSRD, si limita l’obbligo di reporting sulla Tassonomia solo alle imprese con >1.000 dipendenti. (di fatto, allineando il requisito ai soggetti coperti dalla futura CSRD). Le aziende più piccole saranno esentate dal dover riportare la percentuale di fatturato/investimenti allineati alla Tassonomia, anche se potranno farlo volontariamente se lo ritengono utile (ad esempio per attrarre investimenti sostenibili). Inoltre, l’Omnibus introduce la possibilità di dichiarare attività “parzialmente allineate” alla Tassonomia, favorendo un approccio graduale: le imprese potranno mostrare non solo le attività già completamente verdi, ma anche i progressi su attività in transizione verso la sostenibilità. Questo cambiamento mira a incentivare e rendere visibile la transizione ecologica in corso, anziché fornire solo un’istantanea binaria “allineato/non allineato”.
Altre semplificazioni – Nel complesso, la filosofia della CSRD Omnibus è di concentrare gli sforzi di reporting sulle aziende più grandi e ridurre al minimo gli effetti domino sui soggetti più piccoli. Ad esempio, viene chiarito che le grandi banche potranno escludere dal calcolo di alcuni indici (Green Asset Ratio) le esposizioni verso aziende non soggette alla CSRD. Questo evita penalizzazioni o richieste di informazioni aggiuntive verso le PMI da parte degli istituti finanziari. In sintesi, tutte le modifiche puntano a snellire il quadro normativo senza stravolgere gli obiettivi di fondo: la sostenibilità rimane un elemento centrale del reporting aziendale in Europa, ma con regole più proporzionate alla dimensione aziendale.
Implicazioni per le aziende
Le novità introdotte dalla CSRD Omnibus comportano diverse implicazioni pratiche per le aziende europee in materia di rendicontazione ESG. Alcuni dei principali impatti e considerazioni per le imprese sono i seguenti:
Adeguamento del piano di conformità: Le aziende di grandi dimensioni (oltre 1.000 dipendenti) che restano obbligate devono aggiornare i propri piani di compliance tenendo conto delle nuove scadenze e requisiti. Chi era preparato a reportizzare già nel 2025-2026 può sfruttare il tempo extra concesso per migliorare la qualità dei dati e dei processi interni. Tuttavia, è sconsigliabile abbassare la guardia: le prime rendicontazioni ESG saranno comunque oggetto di attenzione da parte di investitori e organi di controllo, quindi le imprese farebbero bene a utilizzare il periodo aggiuntivo per perfezionare la raccolta dati, i controlli di qualità e la governance della sostenibilità.
Rivalutazione dell’obbligo per le imprese medio-piccole: Molte imprese che inizialmente rientravano nel perimetro CSRD (ad es. aziende con 250-500 dipendenti o PMI quotate) ora potrebbero non avere più un obbligo legale diretto. Questo “alleggerimento” normativo va interpretato con attenzione. Da un lato, significa meno costi immediati di compliance e niente obbligo di pubblicare un bilancio di sostenibilità in formato ESRS per queste aziende. Dall’altro lato, la spinta verso la sostenibilità non si ferma: pressioni da parte di investitori, clienti o grandi imprese clienti potrebbero comunque incentivare anche le aziende escluse a comunicare volontariamente le proprie performance ESG. In particolare, chi ambisce a partecipare a filiere sostenibili o ottenere finanziamenti agevolati green potrebbe trovare vantaggi nel allinearsi spontaneamente a parte dei requisiti CSRD, pur non essendovi obbligato.
Focus sulle informazioni materiali: Con la conferma della doppia materialità e la prospettata semplificazione degli ESRS, le aziende dovranno concentrare la rendicontazione sugli aspetti ESG più rilevanti per il loro business e per gli stakeholder. È opportuno che le imprese avviino (o proseguano) un’analisi di materialità solida, per identificare le tematiche ambientali, sociali e di governance che meritano attenzione prioritaria nei report. La doppia prospettiva va integrata nel processo decisionale: i sustainability manager dovranno valutare sia i rischi/opportunità climatici, normativi, di reputazione che possono influire sui risultati aziendali, sia gli impatti generati dall’azienda (emissioni, consumo risorse, effetti sulla comunità, catena di fornitura, diritti umani etc.). Questo esercizio sarà la base per una rendicontazione efficace e conforme.
Revisione delle procedure di raccolta dati: L’eventuale diritto di rifiuto delle PMI a fornire dati implica che le grandi aziende dovranno rivedere le proprie strategie di data collection lungo la filiera. Per aspetti come l’impronta di carbonio Scope 3 (emissioni indirette) o altri indicatori che richiedono input da fornitori piccoli, le aziende capofila potrebbero dover adottare un approccio diverso: ad esempio, utilizzare dati medi di settore, stime, o instaurare partnership collaborative (anziché imposizioni contrattuali) per ottenere le informazioni. In generale, tutte le imprese soggette a CSRD dovrebbero investire in sistemi informativi adeguati per raccogliere e consolidare dati ESG con la stessa cura riservata ai dati finanziari, creando eventualmente team interfunzionali (sostenibilità, IT, finanziario, legale) dedicati a questo scopo.
Coinvolgimento del top management: L’attenuazione degli obblighi per alcune categorie non deve far passare il messaggio che la sostenibilità diventi opzionale. Al contrario, la CSRD – anche nella versione semplificata – ribadisce che le informazioni ESG sono parte integrante del bilancio aziendale e della strategia. I CEO e i consigli di amministrazione delle società interessate dovrebbero mantenere alta l’attenzione sulla rendicontazione di sostenibilità, assicurandosi che sia inserita nei processi di governance. Le informazioni che verranno pubblicate (obiettivi climatici, indicatori di diversità, performance ambientali, politiche sociali) riflettono l’impegno dell’azienda e saranno valutate dagli investitori al pari di quelle finanziarie. Dunque, il top management è chiamato a guidare il cambiamento culturale interno, fornire risorse adeguate e, soprattutto, dare l’esempio integrando considerazioni ESG nelle decisioni strategiche.
Preparazione all’audit ESG: Dal momento che l’obbligo di assurance esterna sui dati di sostenibilità rimane (seppur limitata), le aziende farebbero bene a prepararsi per tempo a questo controllo. In pratica, ciò significa strutturare i processi in modo da poter fornire evidenze verificabili di quanto riportato (tracciabilità dei dati, documentazione delle metodologie di calcolo, controllo interno sui KPI di sostenibilità). Stabilire un dialogo con il proprio revisore sin dal primo anno di report è utile per capire le aspettative e prevenire rilievi. Le imprese che inizieranno a pubblicare dal 2025 o 2026 saranno apripista: le loro esperienze serviranno da modello anche per chi, grazie al rinvio, avrà qualche anno in più. Investire in sistemi di controllo interno ESG robusti sarà un vantaggio competitivo nel medio termine.
In sintesi, le aziende devono interpretare la CSRD Omnibus come un aggiustamento del tiro, non come un dietro-front sulla sostenibilità. Le imprese di maggiori dimensioni sono chiamate a dare l’esempio, con rapporti ESG trasparenti e di qualità; le imprese più piccole, pur escluse formalmente, dovrebbero cogliere l’opportunità per crescere in maturità sulla sostenibilità con tempi e mezzi adeguati alle proprie possibilità. La direzione di marcia a livello normativo e di mercato è chiara: ESG e reporting di sostenibilità restano fattori cruciali per operare con successo nel contesto europeo.
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CSRD Omnibus: cos’è, novità e impatti per le aziende
(Aggiornamento 2025)
CSRD Omnibus: cos’è, novità e impatti per le aziende (Aggiornamento 2025)
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Cos’è la CSRD Omnibus
Come funziona la direttiva e cosa cambia rispetto alla CSRD originale
Chi è coinvolto
Tempistiche e fasi di implementazione
Novità introdotte dalla CSRD Omnibus
Implicazioni per le aziende
Come Metrikflow può supportarti
Cos’è la CSRD Omnibus
La CSRD Omnibus è un pacchetto di proposte normative introdotto dalla Commissione Europea nel 2025 per modificare e semplificare la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD). In altre parole, si tratta di un intervento “omnibus” (ovvero onnicomprensivo) che aggiorna le regole sulla rendicontazione di sostenibilità aziendale. L’obiettivo principale è ridurre la complessità e gli oneri amministrativi associati alla CSRD originale, rispondendo alle preoccupazioni di molte imprese sull’eccessiva burocrazia. Questo pacchetto fa parte di un’iniziativa più ampia della UE per migliorare la competitività e alleggerire gli obblighi, in particolare per le piccole e medie imprese (PMI). La CSRD Omnibus introduce modifiche significative alla direttiva originale, focalizzandosi sulle aziende di maggiori dimensioni e semplificando alcuni requisiti, pur mantenendo invariati i principi cardine di trasparenza in ambito ESG (ambientale, sociale e di governance). Secondo le stime della Commissione, queste semplificazioni potrebbero comportare risparmi annuali di oltre 6 miliardi di euro di costi amministrativi per le imprese europee.
Come funziona la direttiva e cosa cambia rispetto alla CSRD originale
La CSRD originale (Corporate Sustainability Reporting Directive), adottata nel 2022, ha ampliato in modo significativo l’obbligo di rendicontazione di sostenibilità per le aziende europee. In sintesi, la CSRD richiede alle imprese interessate di pubblicare, all’interno della relazione annuale, informazioni dettagliate sul proprio impatto ambientale e sociale, nonché sui rischi di sostenibilità che possono influenzare il business. Questa rendicontazione deve seguire standard europei uniformi (gli ESRS, European Sustainability Reporting Standards) e adottare il principio della doppia materialità, valutando sia come i fattori ESG influenzano l’azienda, sia l’impatto dell’azienda su ambiente e società. Inoltre, la CSRD prevede che i dati di sostenibilità riportati siano sottoposti a una verifica esterna (assurance) da parte di revisori: inizialmente è richiesta un’assurance limitata e, nella versione originale, era previsto in futuro un passaggio a un’assurance ragionevole (più rigorosa).
Rispetto a questa impostazione, la CSRD Omnibus introduce diversi cambiamenti chiave. In primo luogo, riduce drasticamente il perimetro delle imprese soggette alla direttiva: invece di coinvolgere tutte le grandi aziende (oltre 250 dipendenti) e le PMI quotate, la nuova soglia proposta è fissata a 1.000 dipendenti. Ciò significa che circa l’80% delle aziende inizialmente incluse negli obblighi CSRD ne verrebbe escluso, concentrando la rendicontazione obbligatoria solo sulle società di maggior dimensione. In secondo luogo, pur confermando l’obbligo di assicurazione limitata sui dati di sostenibilità, l’Omnibus elimina la prospettiva di passare a un’assurance “ragionevole” negli anni successivi. Vengono anche abbandonati i piani per sviluppare standard di rendicontazione settoriali: la CSRD originale prevedeva standard aggiuntivi specifici per settore economico e per PMI quotate, ma l’Omnibus cancella questa previsione, evitando di introdurre ulteriori layer di complessità. Allo stesso tempo, la Commissione ha annunciato l’intenzione di semplificare gli standard ESRS esistenti, riducendo il numero di indicatori obbligatori e privilegiando dati quantitativi (misurabili) rispetto a descrizioni narrative. Importante sottolineare che non cambiano i principi fondamentali: la doppia materialità rimane intatta, così come l’impianto generale della direttiva, confermando l’impegno UE verso una trasparenza ESG robusta. In sintesi, la CSRD Omnibus mantiene gli obiettivi di fondo della normativa originale, ma ne rimodula la portata e le tempistiche per renderla più sostenibile (paradossalmente) per le aziende.
Chi è coinvolto
Le modifiche introdotte con la CSRD Omnibus ridefiniscono quali aziende saranno effettivamente obbligate alla rendicontazione di sostenibilità secondo la direttiva. In base alla proposta attuale, risultano coinvolti principalmente:
Grandi imprese con oltre 1.000 dipendenti: la nuova soglia dimensionale individua queste aziende come il fulcro dell’obbligo di reporting. Si tratta in pratica delle società di maggiori dimensioni (in genere con oltre 1.000 dipendenti e fatturato superiore a 50 milioni di euro), incluse sia le imprese quotate in borsa che quelle non quotate che superano tale livello occupazionale. In termini numerici, il passaggio da 250 a 1.000 dipendenti come criterio minimo riduce i soggetti obbligati da circa 50.000 aziende a circa 10.000 in tutta Europa, focalizzandosi su quelle realtà che hanno maggiori impatti sull’ambiente e sulla società.
PMI quotate sotto i 1.000 dipendenti: queste imprese, che nella CSRD originale avrebbero dovuto iniziare a rendicontare (seppur con standard semplificati), saranno esentate. Ciò include molte piccole e medie imprese quotate in borsa (escluse comunque le micro-imprese, che erano già fuori campo). L’Omnibus quindi esclude le PMI quotate dal campo di applicazione della CSRD se hanno meno di 1.000 dipendenti. Rimane tuttavia per loro la facoltà di aderire volontariamente alle linee guida di reporting ESG, ad esempio per rispondere alle richieste di investitori o per prepararsi a future evoluzioni normative.
Enti di interesse pubblico già soggetti a NFRD: le grandi aziende già obbligate sotto la precedente direttiva Non-Financial Reporting Directive (tipicamente società quotate, banche, assicurazioni con oltre 500 dipendenti) restano coinvolte. Anzi, queste imprese hanno già iniziato ad applicare la CSRD dal 2024 (per i dati dell’esercizio 2024). La CSRD Omnibus non modifica il loro obbligo, poiché si tratta in generale di aziende sopra il nuovo limite di 1.000 dipendenti o comunque già tenute per legge precedente.
Società non europee con attività rilevante nell’UE: la direttiva CSRD si applica anche ai cosiddetti “third-country undertakings”, ossia gruppi con sede fuori dall’UE ma con operazioni significative nell’Unione (ad es. tramite filiali o controllate). In origine, l’obbligo scattava per gruppi non-UE con fatturato netto di almeno 150 milioni di euro nell’UE (nei due anni consecutivi) e con una presenza operativa significativa (una grande controllata o una filiale con fatturato > 40 mln €). La CSRD Omnibus innalza questa soglia: sarà richiesto un fatturato consolidato nell’UE di oltre 450 milioni di euro affinché tali gruppi rientrino nell’obbligo. Inoltre, si prospetta di elevare a 50 milioni € la soglia di fatturato per considerare rilevante una filiale non-UE (ramo d’azienda). Queste modifiche riducono il numero di multinazionali extra-UE tenute a redigere un rapporto di sostenibilità secondo le regole CSRD, concentrandolo solo su quelle con una presenza economica molto ampia nel mercato europeo.
Altri stakeholder aziendali: oltre alle imprese in senso stretto, la CSRD Omnibus coinvolge indirettamente figure come i sustainability manager, i team ESG, i CEO e i responsabili compliance delle aziende interessate, che dovranno adattarsi alle nuove regole. Anche i revisori legali e le società di audit sono parte in causa, in quanto continueranno a dover fornire assurance (revisione limitata) sui dati di sostenibilità delle aziende soggette. Infine, investitori, analisti e altri attori del mercato saranno interessati dai cambiamenti, poiché il tipo di informazioni ESG disponibili e il numero di società che le pubblicano potranno mutare in base a queste novità regolamentari.
Tempistiche e fasi di implementazione
La CSRD originale prevedeva un’introduzione graduale degli obblighi di rendicontazione, scaglionando le aziende in quattro “ondate” successive. Queste fasi iniziali erano le seguenti:
Prima ondata (reporting 2025 sui dati 2024) – Grandi imprese di interesse pubblico già soggette a NFRD, cioè società quotate, banche, assicurazioni con oltre 500 dipendenti. Per queste aziende la CSRD è già in vigore dal 1° gennaio 2024 e il primo bilancio di sostenibilità va pubblicato nel 2025 (riferito all’esercizio 2024). Questa tempistica rimane invariata con la Omnibus.
Seconda ondata (originariamente reporting 2026 sui dati 2025) – Altre grandi imprese non soggette a NFRD, ossia tutte le aziende sopra i criteri di grande impresa (oltre 250 dipendenti o 40 milioni di fatturato o 20 milioni di totale attivo) non incluse nella prima ondata. In base alla CSRD originale, queste imprese avrebbero dovuto iniziare a rendicontare dal 2025. La CSRD Omnibus posticipa di due anni questo obbligo: il primo report di sostenibilità per queste aziende slitta al 2028 (relativo all’anno finanziario 2027). In pratica, le grandi imprese “non PIE” avranno due anni aggiuntivi per adeguarsi.
Terza ondata (originariamente reporting 2027 sui dati 2026) – PMI quotate e altre categorie specifiche (come alcune banche piccole non complesse e imprese di assicurazione captive). La direttiva originale prevedeva per le PMI quotate la facoltà di rinviare al 2028 il primo report, ma dal 2026 sarebbero comunque rientrate in perimetro. Anche qui, l’Omnibus concede due anni in più: le PMI quotate e le altre entità di terza ondata dovranno eventualmente reportizzare a partire dal 2029 sui dati del 2028. Va ribadito che, con la contestuale esclusione delle società sotto i 1.000 dipendenti, molte PMI quotate non rientreranno affatto più nell’obbligo (saranno fuori per criterio dimensionale).
Quarta ondata (reporting 2029 sui dati 2028) – Società di paesi terzi con ricavi significativi in UE. Questo obbligo (destinato ai gruppi non-UE con forte presenza in Europa, come descritto in “Chi è coinvolto”) rimane al momento invariato: il primo report per questi soggetti è atteso nel 2029 sui dati 2028, salvo esenzione se non raggiungono le nuove soglie di fatturato. L’Omnibus non modifica le tempistiche per le imprese di paesi terzi già previste dalla CSRD originale.
Le nuove tempistiche introdotte dalla CSRD Omnibus sono già state formalizzate a livello UE con un provvedimento noto come “Stop-the-Clock” Directive. Ad aprile 2025 infatti le istituzioni europee hanno approvato una direttiva urgente che congela e rinvia di due anni le scadenze della seconda e terza ondata, in attesa che le modifiche sostanziali vengano definitivamente adottate. Questa mossa garantisce certezza alle aziende su quando dovranno iniziare a rendicontare: nessuna nuova azienda (oltre a quelle della prima ondata) dovrà pubblicare la propria relazione di sostenibilità prima del 2026, e per la maggior parte si parlerà del 2028 o oltre. I Paesi membri dovranno recepire queste nuove scadenze entro fine 2025, così che le imprese possano pianificare conformemente. È importante sottolineare che le aziende della prima ondata devono invece già rispettare la scadenza originaria (report 2025 relativo al 2024): per questi grandi operatori non c’è stato alcun rinvio e molti stanno pubblicando i loro primi bilanci di sostenibilità in linea con la CSRD proprio nel 2025.
Novità introdotte dalla CSRD Omnibus
La CSRD Omnibus porta con sé un insieme di novità normative che modificano aspetti chiave della direttiva di rendicontazione di sostenibilità. Di seguito, riassumiamo le principali innovazioni e semplificazioni introdotte:
Riduzione dell’ambito di applicazione – Come accennato, il campo di applicazione della CSRD viene drasticamente ristretto. Saranno obbligate solo le aziende con oltre 1.000 dipendenti, escluse quindi circa l’80% delle imprese che sarebbero state inizialmente coinvolte. In particolare, vengono escluse le PMI quotate sotto tale soglia e le grandi aziende fino a 1.000 dipendenti. L’idea di fondo è di concentrare gli obblighi di sostenibilità sulle imprese più grandi, che tipicamente hanno un impatto ambientale e sociale maggiore e maggiori risorse per gestire la rendicontazione.
Posticipo delle scadenze di rendicontazione – L’Omnibus sposta in avanti di due anni le date di prima applicazione per le imprese della seconda e terza ondata. Di conseguenza, le grandi aziende non precedentemente obbligate dal NFRD inizieranno a rendicontare dal 2028 (anziché 2026) e le PMI quotate dal 2029 (anziché 2027). Questa misura, già resa effettiva dal citato provvedimento “Stop-the-Clock”, concede più tempo alle aziende per prepararsi e allinearsi ai nuovi requisiti. Le scadenze per le imprese della prima ondata (2025) e per i gruppi non-UE (2029) restano invariate.
Diritto di rifiuto per le piccole imprese nella filiera – Una novità importante per evitare effetti indiretti sugli operatori più piccoli: la CSRD Omnibus prevede che le PMI possano rifiutare di fornire alcuni dati richiesti da un’azienda più grande nella propria catena del valore. In pratica, se una grande impresa soggetta a CSRD chiede informazioni ESG a fornitori o partner di dimensioni minori per completare il suo bilancio di sostenibilità, questi potranno opporre un rifiuto legittimo senza subire conseguenze dall’adempimento. Questa misura tutela le PMI da oneri aggiuntivi “a cascata” e garantisce che le richieste di dati ESG verso terzi non diventino un peso improprio per chi non è giuridicamente tenuto alla CSRD.
Conferma della doppia materialità – Nonostante alcune pressioni per allentare i requisiti, la Commissione ha deciso di mantenere integra la logica della doppia materialità. Le imprese dovranno quindi continuare a valutare e rendicontare sia l’impatto delle questioni di sostenibilità sulle proprie performance finanziarie, sia l’impatto delle loro attività sulla società e sull’ambiente. Questo principio rimane il fulcro della rendicontazione CSRD, assicurando che i report ESG forniscano una visione completa e bilanciata.
Mantenimento dell’assurance limitata (nessuna escalation a ragionevole) – La CSRD Omnibus conferma l’obbligo di verifica limitata delle informazioni non finanziarie da parte di un auditor esterno, ma elimina la prospettiva prevista in futuro di passare a una “reasonable assurance” più stringente. Ciò significa che anche negli anni a venire il controllo sui dati ESG resterà a un livello di approfondimento moderato (limitato) e non al livello di revisione completo richiesto per il bilancio finanziario. Questa scelta intende evitare un ulteriore aggravio di costi e complessità per aziende e revisori, senza però rinunciare a un minimo di verifica sull’attendibilità delle informazioni di sostenibilità riportate.
Niente standard settoriali e stop agli standard ad hoc per PMI – Un’altra novità rilevante è la rinuncia a sviluppare standard di rendicontazione specifici per settore (che la CSRD originale aveva in programma di introdurre) e per le PMI quotate. La Commissione ha dichiarato esplicitamente che non emanerà standard settoriali ESG aggiuntivi. Questo significa che tutte le aziende obbligate continueranno a utilizzare un set unico di standard (ESRS) trasversali, anziché dover seguire anche linee guida particolari per il proprio settore industriale. L’eliminazione degli standard settoriali evita di aumentare la mole di dati da raccogliere e reportizzare, semplificando l’implementazione per le imprese multi-settore e rendendo più snella la normativa per tutti.
Revisione e semplificazione degli ESRS esistenti – Parallelamente, è stato avviato un processo di revisione degli standard europei ESRS, con l’intento di semplificare e ridurre i requisiti informativi. Le autorità europee (in collaborazione con EFRAG, l’organismo che elabora gli standard) lavoreranno nel 2025 per tagliare gli indicatori meno significativi e focalizzarsi su dati quantitativi maggiormente comparabili. Ad esempio, potrebbero essere ridotti gli obblighi descrittivi o narrativi, privilegiando metriche numeriche chiave (come emissioni di CO₂, consumi energetici, indicatori di diversity, ecc.). L’obiettivo dichiarato è snellire i report di sostenibilità rendendoli più accessibili e utili, sia per chi li prepara sia per chi li legge. Le versioni semplificate degli ESRS dovrebbero essere pronte in tempo per essere applicate ai bilanci di sostenibilità del 2027, e possibilmente – su base volontaria – già ai report del 2026.
Modifiche alla Tassonomia UE – La CSRD Omnibus include anche cambiamenti collegati al Regolamento Tassonomia, ovvero le norme che richiedono alle aziende di dichiarare la quota di attività eco-sostenibili secondo la classificazione UE. In parallelo alla riduzione del perimetro CSRD, si limita l’obbligo di reporting sulla Tassonomia solo alle imprese con >1.000 dipendenti. (di fatto, allineando il requisito ai soggetti coperti dalla futura CSRD). Le aziende più piccole saranno esentate dal dover riportare la percentuale di fatturato/investimenti allineati alla Tassonomia, anche se potranno farlo volontariamente se lo ritengono utile (ad esempio per attrarre investimenti sostenibili). Inoltre, l’Omnibus introduce la possibilità di dichiarare attività “parzialmente allineate” alla Tassonomia, favorendo un approccio graduale: le imprese potranno mostrare non solo le attività già completamente verdi, ma anche i progressi su attività in transizione verso la sostenibilità. Questo cambiamento mira a incentivare e rendere visibile la transizione ecologica in corso, anziché fornire solo un’istantanea binaria “allineato/non allineato”.
Altre semplificazioni – Nel complesso, la filosofia della CSRD Omnibus è di concentrare gli sforzi di reporting sulle aziende più grandi e ridurre al minimo gli effetti domino sui soggetti più piccoli. Ad esempio, viene chiarito che le grandi banche potranno escludere dal calcolo di alcuni indici (Green Asset Ratio) le esposizioni verso aziende non soggette alla CSRD. Questo evita penalizzazioni o richieste di informazioni aggiuntive verso le PMI da parte degli istituti finanziari. In sintesi, tutte le modifiche puntano a snellire il quadro normativo senza stravolgere gli obiettivi di fondo: la sostenibilità rimane un elemento centrale del reporting aziendale in Europa, ma con regole più proporzionate alla dimensione aziendale.
Implicazioni per le aziende
Le novità introdotte dalla CSRD Omnibus comportano diverse implicazioni pratiche per le aziende europee in materia di rendicontazione ESG. Alcuni dei principali impatti e considerazioni per le imprese sono i seguenti:
Adeguamento del piano di conformità: Le aziende di grandi dimensioni (oltre 1.000 dipendenti) che restano obbligate devono aggiornare i propri piani di compliance tenendo conto delle nuove scadenze e requisiti. Chi era preparato a reportizzare già nel 2025-2026 può sfruttare il tempo extra concesso per migliorare la qualità dei dati e dei processi interni. Tuttavia, è sconsigliabile abbassare la guardia: le prime rendicontazioni ESG saranno comunque oggetto di attenzione da parte di investitori e organi di controllo, quindi le imprese farebbero bene a utilizzare il periodo aggiuntivo per perfezionare la raccolta dati, i controlli di qualità e la governance della sostenibilità.
Rivalutazione dell’obbligo per le imprese medio-piccole: Molte imprese che inizialmente rientravano nel perimetro CSRD (ad es. aziende con 250-500 dipendenti o PMI quotate) ora potrebbero non avere più un obbligo legale diretto. Questo “alleggerimento” normativo va interpretato con attenzione. Da un lato, significa meno costi immediati di compliance e niente obbligo di pubblicare un bilancio di sostenibilità in formato ESRS per queste aziende. Dall’altro lato, la spinta verso la sostenibilità non si ferma: pressioni da parte di investitori, clienti o grandi imprese clienti potrebbero comunque incentivare anche le aziende escluse a comunicare volontariamente le proprie performance ESG. In particolare, chi ambisce a partecipare a filiere sostenibili o ottenere finanziamenti agevolati green potrebbe trovare vantaggi nel allinearsi spontaneamente a parte dei requisiti CSRD, pur non essendovi obbligato.
Focus sulle informazioni materiali: Con la conferma della doppia materialità e la prospettata semplificazione degli ESRS, le aziende dovranno concentrare la rendicontazione sugli aspetti ESG più rilevanti per il loro business e per gli stakeholder. È opportuno che le imprese avviino (o proseguano) un’analisi di materialità solida, per identificare le tematiche ambientali, sociali e di governance che meritano attenzione prioritaria nei report. La doppia prospettiva va integrata nel processo decisionale: i sustainability manager dovranno valutare sia i rischi/opportunità climatici, normativi, di reputazione che possono influire sui risultati aziendali, sia gli impatti generati dall’azienda (emissioni, consumo risorse, effetti sulla comunità, catena di fornitura, diritti umani etc.). Questo esercizio sarà la base per una rendicontazione efficace e conforme.
Revisione delle procedure di raccolta dati: L’eventuale diritto di rifiuto delle PMI a fornire dati implica che le grandi aziende dovranno rivedere le proprie strategie di data collection lungo la filiera. Per aspetti come l’impronta di carbonio Scope 3 (emissioni indirette) o altri indicatori che richiedono input da fornitori piccoli, le aziende capofila potrebbero dover adottare un approccio diverso: ad esempio, utilizzare dati medi di settore, stime, o instaurare partnership collaborative (anziché imposizioni contrattuali) per ottenere le informazioni. In generale, tutte le imprese soggette a CSRD dovrebbero investire in sistemi informativi adeguati per raccogliere e consolidare dati ESG con la stessa cura riservata ai dati finanziari, creando eventualmente team interfunzionali (sostenibilità, IT, finanziario, legale) dedicati a questo scopo.
Coinvolgimento del top management: L’attenuazione degli obblighi per alcune categorie non deve far passare il messaggio che la sostenibilità diventi opzionale. Al contrario, la CSRD – anche nella versione semplificata – ribadisce che le informazioni ESG sono parte integrante del bilancio aziendale e della strategia. I CEO e i consigli di amministrazione delle società interessate dovrebbero mantenere alta l’attenzione sulla rendicontazione di sostenibilità, assicurandosi che sia inserita nei processi di governance. Le informazioni che verranno pubblicate (obiettivi climatici, indicatori di diversità, performance ambientali, politiche sociali) riflettono l’impegno dell’azienda e saranno valutate dagli investitori al pari di quelle finanziarie. Dunque, il top management è chiamato a guidare il cambiamento culturale interno, fornire risorse adeguate e, soprattutto, dare l’esempio integrando considerazioni ESG nelle decisioni strategiche.
Preparazione all’audit ESG: Dal momento che l’obbligo di assurance esterna sui dati di sostenibilità rimane (seppur limitata), le aziende farebbero bene a prepararsi per tempo a questo controllo. In pratica, ciò significa strutturare i processi in modo da poter fornire evidenze verificabili di quanto riportato (tracciabilità dei dati, documentazione delle metodologie di calcolo, controllo interno sui KPI di sostenibilità). Stabilire un dialogo con il proprio revisore sin dal primo anno di report è utile per capire le aspettative e prevenire rilievi. Le imprese che inizieranno a pubblicare dal 2025 o 2026 saranno apripista: le loro esperienze serviranno da modello anche per chi, grazie al rinvio, avrà qualche anno in più. Investire in sistemi di controllo interno ESG robusti sarà un vantaggio competitivo nel medio termine.
In sintesi, le aziende devono interpretare la CSRD Omnibus come un aggiustamento del tiro, non come un dietro-front sulla sostenibilità. Le imprese di maggiori dimensioni sono chiamate a dare l’esempio, con rapporti ESG trasparenti e di qualità; le imprese più piccole, pur escluse formalmente, dovrebbero cogliere l’opportunità per crescere in maturità sulla sostenibilità con tempi e mezzi adeguati alle proprie possibilità. La direzione di marcia a livello normativo e di mercato è chiara: ESG e reporting di sostenibilità restano fattori cruciali per operare con successo nel contesto europeo.
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