Carbon Footprint: Guida pratica per calcolare e ridurre le emissioni Scope 1, 2 e 3

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Indice dei contenuti:

  1. Cos’è la Carbon Footprint

  2. Quadro normativo e pressioni di mercato

  3. Come calcolare le emissioni Scope 1, 2 e 3

  4. I principali benefici per le aziende

  5. Strategie efficaci di riduzione

  6. Rischi per chi non agisce

  7. Come Metrikflow può supportarti

1. Cos’è la Carbon Footprint

La Carbon Footprint rappresenta la quantità totale di gas serra generati, direttamente o indirettamente, da un’organizzazione. È misurata in tonnellate di CO₂ equivalente. Il GHG Protocol definisce tre categorie:

  • Scope 1: emissioni dirette (es. combustibili bruciati internamente);

  • Scope 2: emissioni indirette da elettricità o calore acquistati;

  • Scope 3: emissioni indirette lungo tutta la catena del valore (fornitori, trasporti, uso e fine vita del prodotto).

Nel settore industriale, lo Scope 3 può rappresentare oltre l’80% delle emissioni totali. Comprenderlo è essenziale per definire strategie di decarbonizzazione realmente efficaci.

2. Quadro normativo e pressioni di mercato

Dal punto di vista legale, la certificazione di parità di genere in Italia è attualmente volontaria, ma è sostenuta da un quadro di incentivi pubblici e da alcuni obblighi correlati. Va ricordato che, a prescindere dalla certificazione, le aziende con oltre 50 dipendenti hanno già l’obbligo di redigere il Rapporto Biennale sulla Situazione del Personale Maschile e Femminile (come da D.Lgs. 198/2006, Codice delle Pari Opportunità): questo rapporto, da trasmettere alle autorità, documenta la situazione dell’azienda in termini di reclutamento, formazione, promozioni, remunerazioni e altre condizioni contrattuali per genere. La Certificazione di Parità di Genere, invece, è un passo ulteriore e su base volontaria, che implica l’implementazione di un sistema di gestione e il raggiungimento di determinati standard secondo UNI/PdR 125:2022.

Per incoraggiare le imprese ad adottarla, il legislatore ha previsto incentivi significativi. In base all’art. 5 della legge 5 novembre 2021 n.162, alle aziende private in possesso della certificazione è concesso un esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, in misura pari all’1% dei contributi dovuti fino a un massimo di 50.000 € annui per azienda.

Tale sgravio (stanziato con un fondo di 50 milioni di € l’anno) è operativo dal 2022 e rifinanziato anche per gli anni successivi. Inoltre, il possesso della certificazione comporta vantaggi nelle gare pubbliche: con il nuovo Codice degli Appalti (D.Lgs. 36/2023) le stazioni appaltanti attribuiscono un punteggio premiante alle imprese certificate in fase di valutazione delle offerte, e prevedono una riduzione del 20% dell’eventuale cauzione richiesta in gara per tali imprese. In pratica, un’azienda certificata avrà un piccolo vantaggio competitivo nei bandi pubblici, il che può tradursi in maggiori chance di aggiudicazione di contratti. Sono stati anche istituiti contributi a fondo perduto a livello nazionale e regionale per aiutare soprattutto PMI e microimprese a sostenere i costi di consulenza e certificazione(ad esempio la Regione Lombardia finanzia parte delle spese per chi intraprende questo percorso entro fine 2024).

La rilevanza di questa certificazione va oltre il mero rispetto normativo: essa rappresenta un segnale forte verso dipendenti, partner e investitori sull’impegno dell’azienda per un ambiente di lavoro equo ed inclusivo. Ottenere la certificazione significa poter “certificare” – anche in sede di bilancio di sostenibilità o comunicazione CSR – che l’azienda aderisce a best practice in ambito parità di genere, rafforzando così la reputazione aziendale. Non a caso, tra i benefici concreti riconosciuti ci sono: un clima interno più positivo e collaborativo, maggiore capacità di attrarre e trattenere talenti (soprattutto femminili), e una percezione di marca più innovativa e responsabile. Le aziende certificate UNI/PdR 125 possono infatti vantare un’immagine virtuosa sia come “employer of choice” sia nei confronti dei clienti e del pubblico. Sul lungo termine, adottare politiche per la parità di genere contribuisce anche ad aumentare la competitività: team diversificati, in cui coesistono punti di vista differenti, tendono a generare soluzioni più innovative e performance migliori. D’altro canto, le imprese che trascurano questi aspetti rischiano di perdere opportunità (sia in termini di incentivi sia di valore umano) e di rimanere indietro in un contesto in cui la sostenibilità sociale sta assumendo un peso sempre maggiore nelle valutazioni complessive delle aziende (si pensi ai punteggi ESG, dove la dimensione “Social” è sempre più scrutinata).


3. Come calcolare le emissioni Scope 1, 2 e 3


Il calcolo della Carbon Footprint richiede un processo rigoroso e strutturato basato sullo standard GHG Protocol, utilizzato globalmente per la rendicontazione delle emissioni. Si parte dalla definizione del perimetro organizzativo (quali sedi, filiali o entità includere) e operativo (quali fonti di emissione considerare).

Una volta identificato il perimetro, si passa alla raccolta dei dati di attività: ad esempio, quantità di carburanti e gas consumati (Scope 1), chilowattora di elettricità acquistata (Scope 2), e dati complessi legati alla supply chain, ai trasporti, ai rifiuti e all’uso del prodotto (Scope 3).

I dati raccolti vengono poi moltiplicati per i fattori di emissione specifici (forniti da database come DEFRA, Ecoinvent o ISPRA) per ottenere la quantità di CO2 equivalente. Questo porta alla costruzione dell’inventario GHG.

Il reporting può essere successivamente verificato da terze parti e pubblicato secondo gli standard come la CSRD o GRI. La complessità dello Scope 3 richiede spesso una prioritizzazione delle categorie più rilevanti attraverso un’analisi di materialità, partendo da stime per poi evolvere verso dati più accurati negli anni successivi.


4. I principali benefici per le aziende

Calcolare e monitorare la propria carbon footprint non è solo un obbligo di compliance, ma un potente strumento strategico.

Fornisce consapevolezza sulle aree ad alto impatto ambientale e permette di identificare sprechi e inefficienze operative. Questo si traduce spesso in risparmi economici, ad esempio grazie a interventi di efficienza energetica o alla riduzione dell'uso di risorse.

A livello reputazionale, un’azienda che misura e comunica la propria impronta di carbonio viene percepita come trasparente e responsabile, migliorando la sua immagine presso clienti, investitori e istituzioni.

Inoltre, una gestione efficace delle emissioni può aumentare il punteggio nei rating ESG e facilitare l’accesso a capitali, bandi e partnership strategiche.


5. Strategie efficaci di riduzione

Una volta calcolata la baseline delle emissioni, è possibile avviare un percorso strutturato di decarbonizzazione. Questo parte dalla definizione di obiettivi chiari, possibilmente allineati a iniziative scientifiche come la SBTi (Science Based Targets initiative).

Le leve principali includono l'efficienza energetica, attraverso l'ammodernamento degli impianti e l'adozione di sistemi di gestione dell'energia (es. ISO 50001), e l'utilizzo di energie rinnovabili, mediante contratti verdi o installazioni on-site.

Anche la logistica e i trasporti possono essere ottimizzati per ridurre le emissioni, così come la supply chain: coinvolgere i fornitori e preferire materiali a basso impatto può fare la differenza. L’eco-design dei prodotti contribuisce a ridurre le emissioni lungo tutto il ciclo di vita.

Per le emissioni non riducibili nel breve periodo, è possibile ricorrere a progetti di compensazione certificati, purché utilizzati come misura complementare e non sostitutiva delle azioni di riduzione.


6. Rischi per chi non agisce

Le aziende che non affrontano il tema della carbon footprint rischiano conseguenze economiche, normative e reputazionali.

Da un lato, la crescente regolamentazione europea, in particolare la CSRD e il meccanismo CBAM, comporta obblighi di rendicontazione e costi potenziali legati al prezzo del carbonio. Le imprese non conformi potrebbero essere escluse da supply chain internazionali o da appalti pubblici.

Dal punto di vista reputazionale, ignorare le emissioni può esporre l’azienda a critiche pubbliche e danneggiare la fiducia degli stakeholder, con un impatto negativo anche sulla fidelizzazione dei clienti e sull’attrazione dei talenti.

Infine, c'è il rischio di perdere competitività. Le aziende che non si adattano ai nuovi standard ambientali potrebbero essere superate da concorrenti più agili e pronti a innovare in ottica low-carbon. La gestione proattiva delle emissioni diventa quindi un elemento distintivo e di vantaggio competitivo.


7. Come Metrikflow può supportarti

Metrikflow è la piattaforma pensata per semplificare la gestione della sostenibilità:

  • Automatizza il calcolo delle emissioni Scope 1, 2 e 3;

  • Usa fattori di emissione aggiornati;

  • Integra i dati di fornitori e logistica;

  • Supporta audit e certificazioni (ISO 14064, GHG Protocol);

  • Aiuta a definire e monitorare target di riduzione;

  • Fornisce dashboard e report pronti per la rendicontazione ESG.

Inizia a costruire una strategia di decarbonizzazione solida, efficace e conforme. Con Metrikflow, il cambiamento è semplice, misurabile e concreto.

Carbon Footprint: Guida pratica per calcolare e ridurre le emissioni Scope 1, 2 e 3

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Indice dei contenuti:

  1. Cos’è la Carbon Footprint

  2. Quadro normativo e pressioni di mercato

  3. Come calcolare le emissioni Scope 1, 2 e 3

  4. I principali benefici per le aziende

  5. Strategie efficaci di riduzione

  6. Rischi per chi non agisce

  7. Come Metrikflow può supportarti

1. Cos’è la Carbon Footprint

La Carbon Footprint rappresenta la quantità totale di gas serra generati, direttamente o indirettamente, da un’organizzazione. È misurata in tonnellate di CO₂ equivalente. Il GHG Protocol definisce tre categorie:

  • Scope 1: emissioni dirette (es. combustibili bruciati internamente);

  • Scope 2: emissioni indirette da elettricità o calore acquistati;

  • Scope 3: emissioni indirette lungo tutta la catena del valore (fornitori, trasporti, uso e fine vita del prodotto).

Nel settore industriale, lo Scope 3 può rappresentare oltre l’80% delle emissioni totali. Comprenderlo è essenziale per definire strategie di decarbonizzazione realmente efficaci.

2. Quadro normativo e pressioni di mercato

Dal punto di vista legale, la certificazione di parità di genere in Italia è attualmente volontaria, ma è sostenuta da un quadro di incentivi pubblici e da alcuni obblighi correlati. Va ricordato che, a prescindere dalla certificazione, le aziende con oltre 50 dipendenti hanno già l’obbligo di redigere il Rapporto Biennale sulla Situazione del Personale Maschile e Femminile (come da D.Lgs. 198/2006, Codice delle Pari Opportunità): questo rapporto, da trasmettere alle autorità, documenta la situazione dell’azienda in termini di reclutamento, formazione, promozioni, remunerazioni e altre condizioni contrattuali per genere. La Certificazione di Parità di Genere, invece, è un passo ulteriore e su base volontaria, che implica l’implementazione di un sistema di gestione e il raggiungimento di determinati standard secondo UNI/PdR 125:2022.

Per incoraggiare le imprese ad adottarla, il legislatore ha previsto incentivi significativi. In base all’art. 5 della legge 5 novembre 2021 n.162, alle aziende private in possesso della certificazione è concesso un esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, in misura pari all’1% dei contributi dovuti fino a un massimo di 50.000 € annui per azienda.

Tale sgravio (stanziato con un fondo di 50 milioni di € l’anno) è operativo dal 2022 e rifinanziato anche per gli anni successivi. Inoltre, il possesso della certificazione comporta vantaggi nelle gare pubbliche: con il nuovo Codice degli Appalti (D.Lgs. 36/2023) le stazioni appaltanti attribuiscono un punteggio premiante alle imprese certificate in fase di valutazione delle offerte, e prevedono una riduzione del 20% dell’eventuale cauzione richiesta in gara per tali imprese. In pratica, un’azienda certificata avrà un piccolo vantaggio competitivo nei bandi pubblici, il che può tradursi in maggiori chance di aggiudicazione di contratti. Sono stati anche istituiti contributi a fondo perduto a livello nazionale e regionale per aiutare soprattutto PMI e microimprese a sostenere i costi di consulenza e certificazione(ad esempio la Regione Lombardia finanzia parte delle spese per chi intraprende questo percorso entro fine 2024).

La rilevanza di questa certificazione va oltre il mero rispetto normativo: essa rappresenta un segnale forte verso dipendenti, partner e investitori sull’impegno dell’azienda per un ambiente di lavoro equo ed inclusivo. Ottenere la certificazione significa poter “certificare” – anche in sede di bilancio di sostenibilità o comunicazione CSR – che l’azienda aderisce a best practice in ambito parità di genere, rafforzando così la reputazione aziendale. Non a caso, tra i benefici concreti riconosciuti ci sono: un clima interno più positivo e collaborativo, maggiore capacità di attrarre e trattenere talenti (soprattutto femminili), e una percezione di marca più innovativa e responsabile. Le aziende certificate UNI/PdR 125 possono infatti vantare un’immagine virtuosa sia come “employer of choice” sia nei confronti dei clienti e del pubblico. Sul lungo termine, adottare politiche per la parità di genere contribuisce anche ad aumentare la competitività: team diversificati, in cui coesistono punti di vista differenti, tendono a generare soluzioni più innovative e performance migliori. D’altro canto, le imprese che trascurano questi aspetti rischiano di perdere opportunità (sia in termini di incentivi sia di valore umano) e di rimanere indietro in un contesto in cui la sostenibilità sociale sta assumendo un peso sempre maggiore nelle valutazioni complessive delle aziende (si pensi ai punteggi ESG, dove la dimensione “Social” è sempre più scrutinata).


3. Come calcolare le emissioni Scope 1, 2 e 3


Il calcolo della Carbon Footprint richiede un processo rigoroso e strutturato basato sullo standard GHG Protocol, utilizzato globalmente per la rendicontazione delle emissioni. Si parte dalla definizione del perimetro organizzativo (quali sedi, filiali o entità includere) e operativo (quali fonti di emissione considerare).

Una volta identificato il perimetro, si passa alla raccolta dei dati di attività: ad esempio, quantità di carburanti e gas consumati (Scope 1), chilowattora di elettricità acquistata (Scope 2), e dati complessi legati alla supply chain, ai trasporti, ai rifiuti e all’uso del prodotto (Scope 3).

I dati raccolti vengono poi moltiplicati per i fattori di emissione specifici (forniti da database come DEFRA, Ecoinvent o ISPRA) per ottenere la quantità di CO2 equivalente. Questo porta alla costruzione dell’inventario GHG.

Il reporting può essere successivamente verificato da terze parti e pubblicato secondo gli standard come la CSRD o GRI. La complessità dello Scope 3 richiede spesso una prioritizzazione delle categorie più rilevanti attraverso un’analisi di materialità, partendo da stime per poi evolvere verso dati più accurati negli anni successivi.


4. I principali benefici per le aziende

Calcolare e monitorare la propria carbon footprint non è solo un obbligo di compliance, ma un potente strumento strategico.

Fornisce consapevolezza sulle aree ad alto impatto ambientale e permette di identificare sprechi e inefficienze operative. Questo si traduce spesso in risparmi economici, ad esempio grazie a interventi di efficienza energetica o alla riduzione dell'uso di risorse.

A livello reputazionale, un’azienda che misura e comunica la propria impronta di carbonio viene percepita come trasparente e responsabile, migliorando la sua immagine presso clienti, investitori e istituzioni.

Inoltre, una gestione efficace delle emissioni può aumentare il punteggio nei rating ESG e facilitare l’accesso a capitali, bandi e partnership strategiche.


5. Strategie efficaci di riduzione

Una volta calcolata la baseline delle emissioni, è possibile avviare un percorso strutturato di decarbonizzazione. Questo parte dalla definizione di obiettivi chiari, possibilmente allineati a iniziative scientifiche come la SBTi (Science Based Targets initiative).

Le leve principali includono l'efficienza energetica, attraverso l'ammodernamento degli impianti e l'adozione di sistemi di gestione dell'energia (es. ISO 50001), e l'utilizzo di energie rinnovabili, mediante contratti verdi o installazioni on-site.

Anche la logistica e i trasporti possono essere ottimizzati per ridurre le emissioni, così come la supply chain: coinvolgere i fornitori e preferire materiali a basso impatto può fare la differenza. L’eco-design dei prodotti contribuisce a ridurre le emissioni lungo tutto il ciclo di vita.

Per le emissioni non riducibili nel breve periodo, è possibile ricorrere a progetti di compensazione certificati, purché utilizzati come misura complementare e non sostitutiva delle azioni di riduzione.


6. Rischi per chi non agisce

Le aziende che non affrontano il tema della carbon footprint rischiano conseguenze economiche, normative e reputazionali.

Da un lato, la crescente regolamentazione europea, in particolare la CSRD e il meccanismo CBAM, comporta obblighi di rendicontazione e costi potenziali legati al prezzo del carbonio. Le imprese non conformi potrebbero essere escluse da supply chain internazionali o da appalti pubblici.

Dal punto di vista reputazionale, ignorare le emissioni può esporre l’azienda a critiche pubbliche e danneggiare la fiducia degli stakeholder, con un impatto negativo anche sulla fidelizzazione dei clienti e sull’attrazione dei talenti.

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